ANCORA
E uno strumento di ferro (si veda la lav. 11, fig. 1) di cui ci si serve per
tenere fermo un vascello. Si attacca questo strumento a un cavo il cui capo è fissato al vascello. Si getta l'ancora in mare dove, grazie al suo
peso e alle sue punte, essa fa presa sul fondo e trattiene così il vascello.
L'ancora è composta di diverse parti. La parte Pe è chiamata fuso
dell'ancora: è rotonda in quelle piccole e quadrato in quelle grandi.
La parte saldata all'estremità del fuso si chiama Crociera; la metà
della crociera costituisce il braccio. La cicala è un anello passante
per il foro situato in cima al fuso. E' a questo anello che si attacca il cavo.
Le marre dell'ancora sono lame di ferro di forma triangolare che formano l'estremità
del braccio e servono a mordere sul fondo del mare. Gli angoli delle marre sono
detti orecchie. Il ceppo dell'ancora è un asse di legno composto da due
pezzi di legno assai spessi in cui si può notare una scanalatura per
cingere la testa dell'ancora; si notano inoltre sulla testa dell'ancora due
piccole prominenze dette dadi. Questi dadi rimangono esattamente all'interno
del ceppo e impediscono che questo possa salire o scendere. I due pezzi di legno
di cui abbiamo parlato sono attaccati all'ancora in modo da essere perpendicolari
a un piano passante per il fuso e per le marre; vengono inoltre fissati insieme
con dei chiodi e, così uniti, formano il ceppo. Il ceppo serve a impedire
che la crociera sia parallela al fondo del mare, perché ciò non
consentirebbe all'ancora di mordere.
Vi sono diverse ancore su un vascello; la più grande si chiama ancora
maestra; quella che viene dopo in grandezza si chiama la seconda; la terza si
chiama ancora d'afforco: la si getta dal lato opposto dell'ancora maestra, in
modo che i due cavi formino un angolo con al vertice il vascello; la quarta,
ossia l'ancora più piccola, si chiama ancora da tonneggio: la si getta
a una certa distanza dal vascello; si attacca questa ancora al capo di un cavo;
l'altro capo è allargano e, girando sull'argano, si sposta il vascello
verso il lato in cui è trattenuto dall'ancora. Ci si serve anche di una
cima detta grippia di cui un capo si attacca all'ancora e l'altro a una boa
di sughero galleggiante sull'acqua, acciocché, se l'ancora viene a staccarsi
dal cavo, grazie al sughero si riperisca il punto in cui si trova. [...]
D'Alembert
[...] Ancora fissa: è un grossa ancora che rimane sempre in un porto
o in una rada e che serve per il tonneggio dei vascelli.
Ancora a pennello: è quella pronta a essere calata.
Ancora al largo: è così che si chiama un'ancora calata verso il
mare, quando ve n'è un'altra calata verso terra.
Ancora di terra: è quella calata vicino a terra e opposta a quella calata
al largo.
Ancora di corrente: quando vi sono due ancore calate una in direzione opposta
all'altra che trattengono H vascello contro la forza del flusso e del riflusso
del mare.
Imbrigliare l'ancora significa rivestire le marre con due tavole quando, essendo
obbligati a dare fondo su cattivo fondale, si voglia impedire che il ferro delle
marre scavi troppo, allarghi il buco nella sabbia e faccia arare il vascello.
Salpare l'ancora significa levarla e metterla a bordo per far vela.
Governare sull'ancora significa orientare il vascello quando si salpa l'ancora
e portare la prua verso la boa, in modo che il cavo rimanga più in linea
con le cubie e l'argano.
Arare sull'ancora: avviene quando il vascello trascina le 5ue ancore e si allontana
dal punto in cui ha dato fondo; ciò si verifica quando il forte vento
o i colpi di mare hanno fatto perdere la presa all'ancora per la forza con cui
la nave è tirata. [... ]
Far venire l'ancora a picco significa recuperare il cavo su un vascello che
si accinge a partire, in modo che resti solo quanto basta a che il vascello
sia perpendicolare sull'ancora e, dando ancora un mezzo giro al cavo, essa sia
del tutto spedata dal fondo.
Essere all'ancora: quando una flotta dà fondo in un porto o in una rada
dove vi sono già molti vascello, il pilota e coloro che hanno il comando
devono prestare attenzione ad ancorarsi bene e a che ogni vascello sia a distanza
ragionevole da li altri, né troppo vicino né troppo lontano da
terra. Se il vento comincia a rinfrescare, è opportuno che tutti i vascelli
filino del cavo in uguale misura, in modo che uno non vada ad abbordare o urtare
l'altro. Si è ancorati a distanza ragionevole dagli altri vascelli quando,
filando tutti i cavi, vi è spazio sufficiente tra due per non abbordarsi.
E' bene ammainare i pennoni in modo che il vento scuota meno i vascelli e, in
caso essi finissero per abbordarsi, arando o in altra maniera, i pennoni di
uno non si impiglino ai pennoni e alle manovre degli altri. La distanza più
ragionevole che si deve tenere fra due vascelli ancorati è di due o tre
cavi, cioè 200 o 300 tese.
Bellin