Nota Storica

Giulia Civita FranceschiNegli anni tra il 1913 e il 1928, Napoli fu al centro dell'interesse pedagogico internazionale per un esperimento educativo straordinario, che si realizzò sulla Nave-Asilo “Caracciolo”.
A dirigere la “Caracciolo”, che accolse oltre 750 bambini e ragazzi sottraendoli a una condizione di abbandono e restituendoli a una vita sana, civile e dignitosa, fu chiamata la signora Giulia Civita Franceschi (1870-1957).
Il suo metodo, apprezzato da Maria Montessori e da numerosi osservatori italiani e stranieri, i quali visitarono la Nave in quegli anni, viene descritto e illustrato in questa mostra grazie a un insieme di fonti documentali e di materiali fotografici, che ben si prestano ad esemplificare attraverso le parole di protagonisti e testimoni e le immagini dei tanti “caracciolini” l'ammirevole “sistema Civita”.
Con questa espressione s'intende un metodo educativo originale, adatto al recupero e all'integrazione di minori a rischio di delinquenza ed esposti a ogni tipo di malattia, che poneva al centro i valori della dignità legata al lavoro, della solidarietà e degli affetti.
La “Caracciolo”, infatti, non si limitò ad essere una scuola di addestramento ai mestieri marittimi, ma fu piuttosto una “comunità”, in cui secondo l'impostazione di Giulia Civita ogni fanciullo, conosciuto e rispettato nei propri bisogni nonché incoraggiato e valorizzato nella proprie tendenze, veniva “aiutato individualmente a migliorarsi e a svilupparsi in modo armonico”. Per questi tratti caratteristici la Civita la definisce un'educazione naturale.
Ma come nacque la Nave-Asilo? Va detto che il disegno di legge per cui il Ministero della Marina fece dono alla città di Napoli della “Caracciolo” fu opera del ministro Pasquale Leonardi Cattolica, mentre il prof. Federico Celentano, in qualità di presidente del Patronato appositamente costituito, provvide a redigere lo statuto. Dopo l'approvazione della legge (13 luglio 1911) e dello statuto (23 giugno 1912), la Nave fu inaugurata nell'aprile del 1913. La ricostruzione della vicenda, tuttavia, sarebbe incompleta se non venisse ricordato l'impegno di altri personaggi che in vario modo sollecitarono, ispirarono e resero possibile la realizzazione del progetto, quali Enrichetta Chiaraviglio Giolitti, David ed Elvira Levi-Morenos, Antonia Nitti, Lucy Re-Bartlett, il deputato Dentice d'Accadia, relatore della legge alla Camera dei deputati, il marchese di Campolattaro, primo presidente del Comitato cittadino pro Nave-Asilo ed altre figure di filantropi/e.
Né va dimenticato uno dei primi propugnatori del trasferimento in Italia dell'esperienza inglese delle training ships, quale fu fin dal 1878 Pasquale Villari, profondo conoscitore dei buoni risultati conseguiti con quel sistemain Inghilterra.
Quando fu inaugurata la “Caracciolo”, l'iniziativa presentava già due precedenti i Italia: la Nave-Officina “Garaventa” a Genova, attiva dal 1883 e finalizzata ad accogliere giovani che avessero scontato delle pene carcerarie, e laNave-Asilo “Scilla”, promossa a Venezia da David ed Elvira Levi-Morenos fin dal 1906 e funzionante come scuola di pesca per gli orfani dei pescatori dell'Adriatico.
La “Caracciolo”, diversamente, fu destinata ad accogliere sia gli orfani dei marittimi sia i fanciulli abbandonati di Napoli - “pericolati” e “pericolanti” nel linguaggio criminologico del tempo -, meglio noti in Italia e nel mondo col nome di “scugnizzi”.
La Direttrice, Giulia Civita Franceschi, salì a bordo della Nave nell'agosto del 1913 e vi rimase fino al 1928, anno in cui fu allontanata dal fascismo che, nel suo intento totalitario, volle inserire questo istituto nell'Opera Nazionale Balilla, interrompendone così la peculiare funzione educatrice.
Tra le conseguenze negative di questa decisione vi fu anche la mancata realizzazione di un progetto maturato da tempo nella mente della Civita: l'estensione alle bambine e alle ragazze abbandonate, le “scugnizze”, dell'opera di accoglienza e recupero rivolta fino ad allora esclusivamente ai loro coetanei maschi.
SPEMCon la nascita della SPEM (Scuola per Pescatori e Marinaretti) nel 1921, infatti, era stato previsto nella località di Miseno un edificio destinato alle bambine, ma l'iter per la sua attuazione, pesantemente intralciato da interessi privati, ebbe un esito fallimentare. La vicenda è narrata con precisione da Olga Arcuno sul mensile “Solidarietà” nell'agosto del 1949.
Bisogna andare, quindi, agli anni del secondo dopoguerra per ritrovare notizie della signora Civita. E sono due donne, la giornalista Lieta Nicodemi e la vicepresidente del CAF (Centro Attività femminile), Olga Arcuno, a riportarla sulla scena non solo allo scopo di celebrarne i meriti per la missione compiuta. In realtà, esse si proponevano di ottenere per l'infanzia derelitta di Napoli, all'indomani del secondo conflitto mondiale, una nuova stagione sul modello dell'esperimento educativo della “Caracciolo”. A questo appello Giulia Civita, nonostante i torti subìti e le amarezze sofferte, rispose con grande senso di responsabilità, fornendo, ad esempio, una convinta e appassionata esposizione del suo metodo, illustrandone i risultati e sollecitando a non lasciar appassire il seme di un'esperienza tanto feconda. L'occasione le fu offerta, oltre che dagli articoli di Lieta Nicodemi e di Olga Arcuno, rispettivamente sulle pagine dei giornali “Risorgimento” e “Solidarietà”, anche dal Congresso delle donne napoletane (29-30 giugno 1947), in cui le fu riservato l'intervento inaugurale. Nel corso di esso, “senza false modestie”, ella ribadì insieme ai concetti fondamentali del suo metodo anche il “primato” femminile in campo educativo e rieducativo. Ma si comprende dal tono del suo discorso e soprattutto dalla conclusione che ciò che le sta più a cuore è, come sempre, la sorte degli “scugnizzi”, quel drammatico problema che “torna oggi ad imperversare in questa nostra martoriata città e vi imperverserà tanto maggiormente quando gli anni renderanno più visibili le conseguenze del passaggio di due eserciti l'uno di padroni, l'altro di vittoriosi”.
La figura e l'opera di Giulia Civita verranno ancora una volta riportate alla memoria dal giornale “Lo scugnizzo”testata nei primi anni Cinquanta, per poi scomparire nuovamente, secondo il ritmo discontinuo e intermittente che sembra appartenere tanto alla storia delle donne quanto alla biografia della città. Un più recente ricordo risale alla pubblicazione nel 2004 di Scugnizzi, un prezioso volumetto memorialistico, corredato da foto, della casa editrice INTRA MOENIA, a cura di Luciano Scateni ed Ermete Ferraro.

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